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Archivio storico di un giornale non più attivo

Concluso il Congresso di +Europa

Ed eccomi qui di ritorno dall’esperienza, entusiasmante da un lato e deludente dall’altro, del congresso che ha sancito la nascita di un grande partito liberale ed europeista in Italia che mi rende orgoglioso di aver avuto il privilegio di averne fatto parte in qualità di iscritto della prima ora.
Finalmente abbiamo un partito, un vero partito, capace di presentarsi come valida alternativa all’inconcludenza di un PD dalle troppe anime e dal lato opposto al populismo, nel senso peggiore del termine, di chi si presenta come cambiamento senza essere davvero capace, e senza neanche averne la cognizione, di esserlo e chi cavalca la legittima insoddisfazione dei cittadini al solo scopo di perpetuarsi nell’occupazione delle poltrone di governo.
I nostri temi sono federalismo, mercato, solidarietà, giustizia, diritti . E su ognuno di essi la nostra posizione è chiara ed è in decisa contrapposizione alle forme partito nelle quali tanti anni di storia hanno relegato la Nazione Italiana.
Il prossimo futuro ci dirà se saremo stati capaci di esprimere e far comprendere le nostre posizioni.
Nel frattempo, però, non posso non rilevare come questo congresso abbia anche sancito il definitivo distacco fra i radicali come movimento di opinione e di espressione di una serie di grandi ed eterni temi e quelli fra loro (come Emma Bonino e Gianfranco Spadaccia) che vogliono, invece, usare i grandi temi come base concettuale a partire dalla quale entrare nell’amministrazione della comunità in quanto solo entrando nelle maglie della politica “politicata” (e senza doversi prestare a compromessi inaccettabili) si può davvero sperare di incidere significativamente sulla politica della comunità in tutti i suoi infiniti aspetti che ben governati e sommati possono dare la speranza di creare davvero la società che vogliamo.
Sono stanco di movimentismo. Sono stanco di sentire enunciare principii senza poi mettersi nella condizione di tradurli in pratica. Sono stanco di assistere a quello che succede nella vita politica senza neanche provare, non dico ad entrare nella stanza dei bottoni ma almeno, a metterci in condizione di poter dire la nostra negli ambiti di competenza, che sono quelli delle istituzioni, dei Comuni, delle Province, delle Regioni, e in ogni ambito amministrativo che la legge prevede ed istituisce.
Sono stanco, per riassumere, di vedere la storia del radicalismo italiano costretta e racchiusa in un cortile che, per quanto dorato sia, le sta stretto e dal quale non potrà mai sperare, salvo casi eclatanti, di far valere le proprie ragioni.
Ben venga perciò un bagno di pragmatismo e di realpolitik.
Ben vengano le normali pratiche della politica per la quale chi è in grado di muovere opinioni e voti lo fa.
E sbaglia chi sembra cadere dalle nuvole come se la politica fosse altro, come se potesse fare a meno del consenso, chi pretenderebbe che la giustezza in se’ delle proprie opinioni debba valere comunque anche se non sufficientemente illustrata (e quindi nelle sedi appropriate) solo dall’alto di una rivendicata superiorità intellettuale e morale. E si badi bene che non intendo contestare certi valori, anzi. Quello che contesto è il metodo. Per far valere le nostre ragioni abbiamo bisogno che queste ragioni arrivino all’intero consesso civile e non restino circoscritte ai soli circoli intellettuali. E mi fa un po’ ridere la pretesa che l’informazione non ci garantisca il giusto spazio. L’informazione, come tutte le aziende commerciali, veicola i contenuti che hanno più appeal e che promettono il migliore ritorno. E fa specie che cose così semplici debbano essere spiegate a chi si proclama portatore dei valori del “libero mercato”.
Ha fatto male perciò quello sparuto gruppetto di radicali che ha contestato fin da subito i metodi del confronto e da ultimo si è reso responsabile di una indegna gazzarra al momento della proclamazione a segretario di Benedetto Della Vedova lamentando e denunciando quello che in effetti c’è stato, e cioè l’arrivo, in numero non così importante in valori assoluti ma pur sufficiente in un consesso così limitato come il nostro, di sostenitori di uno dei protagonisti in suo appoggio. Come se quanto accaduto fosse in contrasto con le più banali regole democratiche. Come se loro, i puri, potessero, dall’alto delle poche centinaia, influenzare il voto, ma soprattutto l’opinione, delle centinaia di migliaia.
Perché qui è il punto: se un partito ritiene di essere portatore di valori universali e perciò popolari deve anche essere in grado di far sì che dal “popolo” questi valori siano percepiti.
Ed è tutto qui, a mio parere, il discrimine fra chi continua a voler restare nell’empireo dei massimi sistemi e chi (finalmente, mi permetto di affermare) vuole provare a far capire i massimi sistemi, magari un po’ alla volta, alla cittadinanza, a quelle persone che sanno benissimo cosa a loro non va bene ma non riescono, e spesso sbagliano, ad individuarne le cause.
La politica non è l’esposizione delle soluzioni definitive ma, ed è così strano doversi trovare qui a ribadire una ovvietà del genere, l’arte di mediare fra le più disparate pulsioni e i più contraddittori interessi personali al fine di ottenere il massimo bene possibile per la comunità. Sarà bene che qualcuno cominci a fare qualche bagno di umiltà e di pragmatismo. Io di mio so che se voglio appena un filino migliorare le mie condizioni, e di conseguenza quelle degli altri, devo imparare a non bloccarmi su posizioni precostituite, ancorchè secondo me siamo le migliori, per adattarle a quelle che per gli altri sono le migliori, pur non coincidendo con le mie, al fine di trovare quelle che non scontentino entrambi.
E perciò rendo onore a Benedetto Della Vedova che ha saputo, pur con la sua oratoria inferiore a quella dei suoi contendenti, fare la sintesi fra i valori da sempre portati dai radicali e la capacità di gestire il consenso che ai radicali da sempre manca.
Di questa contesa ha fatto stavolta le spese, stretto fra due muri, quello dei contendenti che secondo me portava le migliori e più efficaci e realistiche proposte. Alessandro Fusacchia farà parlare di se’ molto più di quello che ha potuto fare in questa circostanza, perchè è il rappresentante ideale di quello che +Europa persegue: una democrazia popolare europeista moderna in linea con i valori occidentali dai quali l’Italia è ancora oggi, colpevolmente, lontana.
I giochi sono appena iniziati ovviamente. E dalle premesse è lecito guardare al futuro con grande ottimismo. A patto di non cadere nelle lotte fratricide che hanno affossato le migliori intenzioni. Buon futuro a noi, ma soprattutto a quelli che verranno dopo di noi. Una bellissima cosa che ho imparato ed apprezzato da questo congresso è un motto del Kenia che ci ha raccontato il nostro amico Willice Onyango : da soli si fa più veloci, ma insieme si va più lontano.
Vorrei che diventasse il motto di chiunque crede a questo progetto.

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