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Archivio storico di un giornale non più attivo

IL TRADIMENTO DI TRUMP

Brett McGurk, nato a Pittsbugh, Pensilvania (USA), 45 anni, laureato in legge alla Columbia University. Ha rivestito diversi ruoli di alto livello nel comparto della Sicurezza Nazionale americana. Ha servito sotto i Presidenti George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump. Si è dimesso dal servizio per protesta dopo la decisione di Trump di ritirarsi dalla Siria.

Ho tradotto ampi stralci del suo articolo per il Washington Post di 4 giorni fa.
Se è vero che la parola rivela il pensiero allora il pensiero di McGurk scorre dritto e senza esitazioni, e non necessita di ulteriori commenti.
Le sue sono le parole di un uomo tradito. Di una intelligenza tradita. Di una pluridecennale politica estera americana tradita.


“Il Segretario di Stato, Mike Pompeo mi chiese di rispondere ad un’ importante chiamata con me e pochi altri alti consiglieri del Dipartimento di Stato; ho preso la chiamata dall’Ambasciata USA in Iraq, dove ho spesso viaggiato per aiutare a gestire la lotta dell’America contro lo Stato Islamico. Ero laggiù per verificare con il nuovo governo iracheno i piani che ci assicurino che i nostri successi in quella lotta siano duraturi. Abbiamo fatto molta strada rispetto a solo quattro anni fa, quando lo Stato Islamico era alle porte di Bagdad: oggi, secondo le Nazioni Unite, l’Iraq è più sicuro di quanto lo sia mai stato da quando la Missione di Assistenza dell’ONU per l’Iraq ha iniziato ad attivarsi sei anni fa.

Questi risultati sono arrivati grazie all’impegno degli alleati dell’America sul terreno – le forze di sicurezza Irachene, i Peshmerga Curdi, i combattenti dell’opposizione siriana e le Syrian Democratic Forces (SDF) – per questi risultati tutti costoro hanno pagato un duro prezzo di sangue

La chiave di questi successi è stata la piccola ed altamente efficace presenza militare americana in Siria. Questa missione è iniziata nel 2015 ad ha contribuito a contrastare l’abilità dello Stato Islamico di pianificare e lanciare attacchi dalla Siria o di riprendere forza in Iraq. Questo è stato possibile senza un esagerato impegno di risorse o di americani direttamente impiegati nella battaglia giorno per giorno.  Essa ha permesso ad una forza locale, le SDF, un variegato gruppo di circa 60.000 combattenti, che include Arabi, Curdi e Cristiani, di riconquistare città e villaggi siriani allo Stato Islamico. Le Syrian Democratic Forces hanno subito migliaia di perdite. Fino alla settimana scorsa due Americani erano morti in combattimento in Siria. (Quattro sono stati uccisi questo mercoledì in un attentato suicida rivendicato dallo Stato Islamico – il primo di questo tipo contro le nostre forze in Siria – che è coinciso con l’incertezza di Washington circa la nostra missione.)

Durante la chiamata di dicembre, Pompeo ci ha informato che c’era stato un improvviso cambio nei piani: il Presidente Trump, dopo una telefonata con la sua controparte Turca, ha dichiarato la vittoria sullo Stato Islamico ed ha indirizzato le nostre forze verso il ritiro dalla Siria.

Sono tornato a Washington immediatamente, nel tentativo di mitigare le conseguenze di questa decisione, particolarmente con i nostri partner della Coalizione (anti Isis), ai quali avevamo assicurato – su istruzioni della Casa Bianca – che non avevamo intenzione di lasciare la Siria presto: il consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, aveva dichiarato che saremmo rimasti in Siria “Fino a quando continuerà la minaccia iraniana nel medio oriente”. Il Segretario alla Difesa Jim Mattis ed io avevamo appena incontrato i partner della coalizione per confermare i nostri impegni nel 2020.

Le mie controparti nelle capitali della Coalizione erano disorientate. I nostri alleati nella lotta (all’Isis) delle Syrian Democratic Forces, i quali io avevo regolarmente incontrato sul terreno, in Siria, hanno manifestato il loro schock e la loro contrarietà, e la speranza che Trump cambiasse idea….

Ho presto concluso che non potevo efficacemente applicare queste nuove istruzioni e mi sono dimesso dalla mia carica il 22 dicembre (2018).

La decisione presidenziale di lasciare la Siria è stata presa senza alcuna riflessione, senza alcuna consultazione dei nostri alleati del congresso, senza valutazione dei rischi collegati, né degli avvenimenti. Due giorni dopo la telefonata di Pompeo, Trump ha twittato: “Abbiamo sconfitto l’Isis inSiria”. Ma questo non era vero, e noi abbiamo continuato le missioni di bombardamento contro lo Stato Islamico. Qualche giorno dopo (Trump) ha dichiarato che l’Arabia Saudita “si è ora accordata (con gli USA) per spendere il denaro necessario per ricostruire la Siria”. Ma questo non era vero, come i Sauditi hanno più tardi confermato. Trump ha anche fatto intendere che le forze militari USA avrebbero potuto lasciare la Siria entro 30 giorni, la cui cosa era logisticamente impossibile.

Peggio, Trump ha preso la suo decisione improvvisa dopo una telefonata con il Presidente Turco Recep Tayyp Erdogan. Ha preso per buona la proposta di Erdogan che sia la Turchia a continuare la guerra allo Stato Islamico in profondità nel territorio siriano. In realtà, la Turchia non può operare a centinaia di miglia dai suoi confini in un territorio ostile senza un supporto militare sostanziale degli USA. E molti dei gruppi di opposizione (siriani) sostenuti dalla Turchia includono estremisti che hanno apertamente dichiarato il loro intento di combattere i Curdi, non lo Stato Islamico.

L’ultima proposta di Trump, resa pubblica in un tweet, di una zona cuscinetto di 20 miglia – a proposito della quale Erdogan dice che sarà creata dalla Turchia – sembra allo stesso modo che sia stata compiuta senza alcun processo di analisi. Quell’area include tutte le aree Curde dell’est della Siria. Non c’è alcuna forza che possa prendersene carico, né il tempo per costruirne una, se le truppe americane si preparano alla ritirata. E l’entrata delle opposizioni supportate dai Turchi prevedibilmente farà fuggire migliaia di Curdi, così come minaccerà le vulnerabili comunità cristiane sparpagliate in quell’area.

Le conseguenze strategiche della decisione di Trump si stanno già manifestando: la maggiore espansione del dominio Turco in Siria, la velocità con cui i nostri partner arabi nella regione si riavvicinano a Damasco. Non è una coincidenza che il Barein e gli Emirati Arabi Uniti hanno riaperto le loro ambasciata subito dopo che Trump ha detto che ce ne andiamo. Questi Paesi, come l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania, credono che coinvolgere Damasco può servire a diluire l’influenza russa, iraniana e turca in Siria, scontando una visione contraria a quella di Washington.
Le SDF, riconoscendo che potrebbero presto ritrovarsi da sole e circondate da forze ostili, hanno accelerato le loro trattative con il regime di Bashar al-Assad. ….
Solo la Russia e l’Iran hanno apprezzato la decisione di Trump. Qualsiasi forza contrattuale avessimo avuto con questi due avversari in Siria questa è diminuita nel momento in cui Trump ha dichiarato che ce ne andremo.
Queste tendenze peggioreranno se il presidente non cambierà idea: i nostri alleati smetteranno di ascoltarci e prenderanno decisioni contrarie ai nostri interessi. I nostri avversari prenderanno tempo, sapendo che gli Stati Uniti sono sul punto di andarsene. Lo Stato Islamico e gli altri gruppi estremisti riempiranno il vuoto che si aprirà alla nostra partenza, rigenerando la loro capacità di minacciare i nostri amici in Europa – come hanno fatto nel corso del 2016 – e, infine, il nostro stesso Paese.

…..

L’ironia è che la sconfitta dello Stato Islamico era ciò che il presidente aveva identificato come il suo primo obiettivo sin dall’inizio. Nel 2016 aveva promesso di “mandare l’Isis all’inferno”. Le sue recenti scelte, sfortunatamente, stanno già dando allo Stato Islamico – e agli altri avversari dell’America – nuova vita.”

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