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Archivio storico di un giornale non più attivo

PROSSIMA FERMATA: IDLIB

Nel maggio 2017, ad Astana, Iran, Russia e Turchia erano giunte a un accordo: in Siria venivano create delle aree di de-escalation.

Le zone di de-escalation non erano altro che zone controllate dai ribelli che i siriani non riuscivano a riconquistare. Chi vi scrive ha sempre pensato che la creazione di queste aree serviva soltanto a “congelare” il conflitto per un certo periodo e nulla più. Infatti le zone di de-escalation si sono trasformate tutte in bagni di sangue, man mano che il regime di Al-Asad, sostenuto dalla Russia, riprendeva forza. L’immagine di Ghouta orientale qui sotto descrive bene cosa rimane delle cosiddette “de-escalation zones”, e del fantastico lavoro diplomatico di Putin ad Astana, magnificato a suo tempo dalle Belle Gioie di turno.

 

Le de-escalations zones erano quattro: la Zona 2  era a nord di Homs, la Zona 3 era quella a est di Damasco e sono saltate sotto i bombardamenti con i barili bomba, l’assedio per fame, e i probabili attacchi col cloro. La zona 4 era quella di Daraa, riconquistata la settimana scorsa a suon di bombardamenti punitivi.

Rimane la Zona 1: Idlib.

Idlib sta conficcata nel cuore della cosiddetta “Siria utile” (cioè non desertica), e basta guardare la carta geografica per capire che è impensabile che un’area di quelle dimensioni, confinante con Aleppo, vicinissima alla base Russa di Latakia, e che viene controllata principalmente dagli ex miliziani di Al Queida, possa rimanere fuori dalla guerra per molto tempo ancora.

Nell’area di Idlib sono attualmente stanziate 2.500.000 persone, di queste un milione sono bambini, almeno la metà di queste persone sono rifugiati, cioè sono già fuggite dalle aree precedentemente in mano ai ribelli; sono le loro famiglie e i clan alleati alle milizie sconfitte di tutta la Siria. Infatti, ogni volta che un’enclave ribelle veniva conquistata si dava la possibilità alle milizie di arrendersi, consegnare le armi pesanti, tenere con se le armi personali e trasferirsi ad Idlib con i parenti; gli ultimi arrivati sono le milizie sconfitte a Daraa e Quneitra la settimana scorsa, i pullman li stanno scaricando ad Idlib proprio in questi giorni.

Per questo Idlib è la zona con la maggior concentrazione di miliziani jihadisti al mondo.

Chi comanda a Idlib? Soprattutto Al Qeida, che poi si è chiamata Al Nusra, che poi si è chiamata Fatah al Sham, che ora si chiama Hayat Tahrir al Sham e che probabilmente cambierà nome anche il mese prossimo. Ad Astana la Turchia aveva siglato un accordo con cui si impegnava a combattere Tahrir al Sham. Non lo ha fatto, ha invece siglato una specie di tacito accordo per non darsi troppo fastidio l’uno con l’altro. Tahrir al Sham in questo periodo ha spostato la sua visione jihadista, dal terrore ecumenico di Al Queida è passata alla lotta di liberazione locale, tipo Hezbollah libanese, ma questo non gli è servito a farsi togliere dalla lista internazionale delle organizzazioni terroristiche. Il capo è tale Al-Joulani. Questa nuova posizione politica di HTS non è piaciuta ad alcuni militanti, duri e puri, che hanno dato vita ad una Katiba di super-irriducibili, le due fazioni attualmente si stanno ammazzando tra loro.

A Idlib ci sono poi tutte le milizie che i Turchi hanno organizzato ed equipaggiato in questi sette anni di vietnam siriano. Sono una pletora e si risparmia al lettore il lungo elenco di poetici nomi di questa e quella formazione. A Idlib ci sono anche i Turchi in persona. Per meglio dire: ci sono otto postazioni di osservazione dell’esercito Turco. Idlib è, grosso modo, abitata da un nugolo di milizie che stanno più o meno comodamente sotto l’ombrello politico-diplomatico turco.

Ankara con le spalle al muro?

Quando Idlib verrà invasa centinaia di migliaia di fuggiaschi si riverseranno in Turchia, e la Turchia in questo momento è in una crisi economica gravissima: la lira turca precipita su tutti i mercati ogni giorno di più. Insieme ai rifugiati cercheranno rifugio in Turchia anche tutti i mostri jihadisti che Erdogan si è allattato al seno in questi anni, con rischi altissimi di destabilizzazione del Paese. Tutto questo senza contare la figura di palta della Sublime Porta, andata alla guerra per rinverdire i fasti dell’Impero Ottomano e ritrovatasi con un pugno di mosche in mano e qualche milione di profughi sulla schiena. E poi, dopo Idlib – sulla carta geografica – c’è l’ex cantone curdo di Afrin, conquistato all’inizio di quest’anno dalle unità corazzate turche. Ma anche Afrin è Siria ed Al Asad la Siria la rivuole tutta…

Dice il molto onorevole Sun Tzu: “Quando attacchi il tuo nemico lasciagli sempre una via di fuga, altrimenti combatterà come un leone”.

Non ci sono “vie di fugada Idlib, questa è l’ultima zona, l’ultima ridotta degli eserciti sunniti sconfitti. Questa volta non ci saranno autobus a portar via le milizie che non vogliono cedere, a Idlib l’orrore farà capolinea. Non è per oggi né per domani, ma è inutile illudersi che non accadrà.

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