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Archivio storico di un giornale non più attivo

Cosa succede in Siria?

Iblid Erdogan
Durante l’attacco Russo-Siriano nella provincia sud-occidentale di Daraa, quando la parola “Idlib” sembrava essere un poco dimenticata, noi su Politeca scrivevamo questo articolo: (leggi l’articolo).  Ci ha senz’altro fatto piacere, dopo un po’ di tempo, leggere cose molto simili su altre testate giornalistiche.
Rifacciamo lo stesso tentativo, risparmiamo al lettore la descrizione tecnica dell’incrociatore lanciamissili “Maresciallo Ustinov”, non ci inoltriamo nel mare di fake news incontrollabili che ci vengono propinate in questi giorni ed evitiamo di ripetere la descrizione degli schieramenti che stanno per dare il via al bagno di sangue che – certamente – avverrà ad Idlib. Cerchiamo invece di guardare un poco più avanti.

Le ultime piroette del Vecchio Ballerino

Erdogan ha deciso di far diventare la Turchia il paese-guida della Fratellanza Islamica. Questo ha significato attirarsi l’odio di tutte le monarchie del golfo, l’ostilità di Egitto e Giordania, la diffidenza di tutto il mondo occidentale.
Erdogan ha deciso a suo tempo di abbattere un aereo da guerra Russo con a bordo due piloti Russi. Sì, certo, poi ha chiesto scusa. Ma – secondo chi scrive – per un gesto del genere chiedere scusa non basta. La Russia non dimentica, la Russia non ha certamente dimenticato.
Erdogan ha deciso di prendere a pesci in faccia l’amministrazione USA, e non da ieri. La cosa è iniziata quando non ha concesso la base di Incirlik ai tempi della seconda guerra del golfo, e poi è stato tutto un susseguirsi di pesanti disallineamenti, fino all’acquisto di un sistema missilistico (S-400) russo, e non americano, fino a far capire che il tentato golpe contro di lui è stato organizzato e pensato negli USA.
Erdogan ha cercato di far crollare il regime Siriano. Dai suoi generosi confini sono entrati in Siria i peggiori tagliagole con la barba lunga provenienti dai quattro angoli del pianeta, destinazione Califfato-ISIS: prego, si accomodi. Sono in qualche modo “turche” le pallottole che hanno ammazzato i soldati di Bashar al Assad, i soldati e i contractors Russi, i miliziani Hezbollah, i consiglieri militari Iraniani.
Erdogan ha invaso militarmente un pezzo di Iraq – nel nord – e le richieste irachene di togliersi da lì non hanno ottenuto alcun risultato. Erdogan ha invaso con i suoi carri armati il cantone Siriano di Afrin.
Non parliamo dei curdi.
Il Vecchio Ballerino, tra mille piroette, ha cercato di tenere insieme diplomaticamente tutto questo, ma la danza ora si avvicina alla fine: Erdogan, per quanto detto, sta sulle palle all’intera umanità con l’eccezione del Qatar.

L’attacco ad Idlib ci sarà senz’altro, e sarà volto a riconquistare interamente il territorio.  Sull’intenzione siriana ed iraniana non ci sono dubbi, ma – per chi vi scrive – anche sull’intenzione russa non ci sono dubbi.
In un mondo bipolare (o, comunque, molto meno multipolare di come tanti commentatori immaginano) c’è una regola classica: “Se il tuo avversario si infila in un Vietnam, lasciacelo a bagno il più possibile perchè questo lo indebolirà”. Indebolirà la sua attendibilità internazionale, indebolirà la sua economia (le guerre costano), indebolirà soprattutto la presa sulla propria opinione pubblica. Nel concreto: in questo periodo la Russia non nuota nell’oro, anzi, e Putin ha appena varato una drastica legge sull’allungamento dell’età pensionabile (Legge Fornerov…), nel frattempo spende una valanga di soldi nella guerra siriana e le proteste in patria iniziano a farsi sentire; ecco, con una drastica operazione a Idlib, Putin può forse chiudere il vietnam siriano, iniziare a diminuire l’impegno militare, ergersi a pivot degli equilibri internazionali, dire: “veni, vidi, vici”.
Se Erdogan vorrà allearsi con la Russia in modo strategico potrà farlo, un alleato in meno della NATO sarebbe una gioia per Putin. Ma le milizie filo-turche presenti ad Idlib dovranno come minimo posare le armi, arrendersi e levarsi di torno. Non c’è dialogo diplomatico che tenga.

Trump: il resto è silenzio


Chi vi scrive assiste stupito alla parabola di un Presidente Americano che ha basato tutta la campagna elettorale sul disimpegno delle truppe americane in giro per il mondo, salvo poi dichiarare guerra a mezzo mondo subito dopo essere arrivato al potere.
I curdi, appoggiati da 2.000 militari americani, controllano circa il 26% del territorio siriano.
Il nodo del Kurdistan siriano sta arrivando al pettine, non è per oggi e neanche per domani, ma il tempo si avvicina: se Trump molla i curdi, ai curdi non resta altro che trattare con Al Assad; preferiranno comunque stare sotto il regime siriano: il confronto militare con il troppo forte esercito turco sarebbe la soluzione peggiore. Ma Trump mollerà i curdi al loro destino? Al momento chi vi scrive non riesce a capirlo, e si chiede se almeno è riuscito a capirlo Donald Trump; c’erano notizie di trattative tra i curdi e il regime siriano, poi non se ne è più saputo nulla. Un solo fatto è certo: Trump aveva dichiarato “i nostri soldati se ne andranno presto dalla Siria, molto presto”. Sono ancora tutti lì.

Le persone

Ne scriviamo in ultimo, anche se le persone dovrebbero venire per prime. Idlib sarà fonte di morte, di distruzione, di rovina per tante persone, tra cui vecchi, donne, bambini. Tantissimi bambini. Si calcola che 800.000 profughi cercheranno di fuggire all’ennesimo orrore siriano. Non sono numeri, sono persone. La Turchia è economicamente in un momento difficile ed ha già accolto un numero spropositato di profughi e l’effetto domino è dato per scontato: queste masse di disperati cercheranno, se possibile, scampo in Europa. Chi ha soffiato sul fuoco della guerra civile siriana, chi ha pensato che rovesciare il regime siriano fosse una buona idea, di tutto questo porta la sua parte di responsabilità.

 

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