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Archivio storico di un giornale non più attivo

NOTIZIE DAL MONDO – Cap. 7

IL VIETNAM A CASA VOSTRA

 

AFGHANISTAN:

Questa estate ha visto la più massiccia offensiva da parte dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan (abituiamoci a chiamare così “I Talebani”). In particolare c’è stata la Battaglia di Ghazni. La battaglia è durata 4 giorni, l’Emirato ha attaccato in forze, ha quasi conquistato tutta la città che poi è stata ripresa – strada per strada –  dalle forze governative, grazie all’aiuto indispensabile delle forze aeree americane. Fonti occidentali danno un bilancio di 250 guerriglieri Talebani morti e quasi altrettanti caduti tra i governativi, ma, ripeto, questa non è stata che la punta di diamante di una serie furibonda di attacchi al regime portati dall’Emirato Islamico, accompagnati da alcune stragi orrende perpetrate dall’ISIS, in particolare a Kaboul.
La situazione militare in Afghanistan, a quel che si può capire, ricorda da vicino la situazione dell’Impero Romano in Palestina ai tempi di Gesù Cristo: i Romani tenevano le città e le vie di comunicazione principali, ma le campagne erano il regno dei guerriglieri Ebrei. La Battaglia di Ghazni ha dimostrato che i Talebani non riescono a conquistare una città, ma che dai distretti rurali – in cui si muovono sempre più facilmente – sono in grado di attaccare su tutto il territorio in qualsiasi momento. Così non può durare. Dopo 17 anni di guerra l’Afghanistan è sempre più un altro Vietnam perduto. Come uscirne ormai è questione all’ordine del giorno, voci – anche autorevoli – parlano di incontri diretti tra USA e Taliban. Si dice in Qatar. Ma sono e rimangono voci che il vostro fornitore di Vietnam non tiene in conto.
Se ci sarà un ritiro della coalizione occidentale dall’Afghanistan si dovrà ricordare comunque una cosa: Al Qaida non è affato sparita, Al Qaida si è fatta camaleonte, è scomparsa nelle pieghe dell’esercito Talebano con cui ha stretto un’alleanza e i suoi uomini ora fanno gli istruttori militari per l’Emirato Islamico Afghano. Ma la sua struttura c’è ancora, e funziona. La sopravvivenza di Al Qaida è stata anche facilitata dal fatto che l’ISIS è diventato l’obiettivo principale delle forze USA in quel Paese. Il report del Consiglio di Sicurezza dell’ONU uscito a fine luglio segnala che per tutto il 2017, si sono spostati in Afghanistan molti guerriglieri rientrati dalle sconfitte di Siria ed Iraq e un numero importante di mujahidin provenienti da Uzbekistan, Tagikistan, Kirghisistan;lo stesso report ONU segnala che la forza dell’ISIS in Afghanistan dovrebbe ammontare ora a 3.500/4.000 combattenti.  Insomma, l’ISIS potrebbe aver deciso che l’Afghanistan sarà la nuova base da cui ripartire.  A proposito: la guerra tra Talebani e ISIS continua, si segnalano scontri armati nel distretto di Kunar, ai confini con il Pakistan.

FRONTE DEL SAHEL:

È uscito un report dell’African Center for Strategic Studies. Nel 2010 i Paesi Africani in cui era segnalata la presenza jihadista erano 5, nel 2017 erano 12. Ci sono stati 675 attacchi terroristici nel 2010, sono diventati 2.769 nel 2017 (aumento del 310%). Nel 2010 i morti per attentati terroristici sono stati 2.674, nel 2017 sono stati 10.376. Erano segnalati 5 gruppi terroristici nel 2010, ora i gruppi terroristici segnalati sono più di 20.

Il cuore pulsante di questa ondata jihadista è il Sahel: Mauritania, Ciad, Niger, Mali, Nigeria, sud dell’Algeria, Sudan. Il Sahel potrebbe diventare centrale nella guerra al terrorismo di matrice islamica.
Attualmente nella regione sono presenti i 4.000 militari Francesi dell’”Operazione Barkhane”, che collabora con le forze militari di “G5 Sahel” (soldati di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), poi ci sono i caschi blu dell’ONU della missione MINUSMA, poi gli addestratori militari delle missioni dell’Unione Europea EUTM ed EUCAP, poi c’è lo United States African Command (AFRICOM). Forse c’è ancora qualcos’altro ma a me già così e venuto mal di testa.
Nel Sahel la minaccia è sempre doppia, è minaccia terroristica ma è anche minaccia criminale, Guerra Santa per l’Islam e traffico di armi, droga, esseri umani sono inscindibilmente legati. Inoltre i confini tra i Paesi dell’area sub-sahariana sono porosi, le distanze enormi, la popolazione rarefatta sul territorio: ci sono intere zone praticamente fuori controllo. I Paesi del Sahel fanno quel che possono: il Ciad ha chiuso il confine con la Libia dall’inizio di quest’anno per evitare infiltrazioni di ogni tipo, attualmente l’esercito Ciadiano è sotto attacco,proprio su quel confine, da parte del “Consiglio Militare del Comando per la Salvezza della Repubblica”, che opera in quella zona con Al Qaida e l’ISIS.
L’attrattività delle formazioni terroristiche in questa area del mondo non è tanto religiosa quanto “sociale”. I giovani di quei Paesi vivono in condizione di povertà, in Stati che non forniscono servizi essenziail; le prime cellule terroristiche fanno scattare sul territorio operazioni di polizia spesso brutali, irrispettose dei diritti umani; quando poi arriva la presenza occidentale le popolazioni vedono soldati stranieri “invadere” il loro territorio, il desiderio di fuga da questa triste realtà trova spesso la sua soluzione tra le braccia dei mujahidin; la promessa del Califfato diventa una catarsi, uno scatto di liberazione da una vita altrimenti grama. E qui il vostro fornitore di Vietnam si permette una notazione: non si arresta un fenomeno sociale con il controterrorismo ma con la stabilizzazione: più c’è guerra, più c’è miseria; più c’è miseria più c’è disperazione, ed è in questa disperazione che il terrorismo islamico – non soltanto, ma anche – prospera.
Manca un sacco di altra roba, magari ne parliamo un’altra volta…

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