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Archivio storico di un giornale non più attivo

PERCHÉ L’ITALIA DEVE ANDARE AVANTI

 

Ai partiti della fotografia dobbiamo riconoscere il merito indiscutibile di aver fatto grande l’Italia. Ma non possiamo dimenticare il disastro che hanno compiuto nella seconda parte della Prima Repubblica. Chi dice stavamo meglio, mente o non ricorda.


In questi giorni accade un fatto singolare, tutti i nomi che sono stati protagonisti della Prima Repubblica, perlomeno quelli vivi, si riuniscono, appaiono in televisione, sui giornali, tutti assieme appassionatamente per  il NO.


Fatto che spinge molti sostenitori del Sì a raffigurarli in vignette titolando: torna la prima repubblica. Elemento che è anche aiutato dalla proposta che aleggia diffusamente in quello schieramento per una legge elettorale di tipo proporzionale. Ovvero l’emblema, il succo, della Prima Repubblica.

Però accade anche che alla domanda provocatoria “Volete tornare alla Prima Repubblica” ? qualcuno risponda: “e perché no?” .

Risposta legittima, perché diciamocelo, la percezione che nell’altro secolo vivessimo meglio di oggi, c’è ed è diffusa. Se così non fosse non avremmo sentito tutti i “Berlusconi ha rovinato l’Italia” e oggi “Renzi ha rovinato l’Italia”.

Ma è veramente così? proviamo a ragionare sulle frasi più comuni.

 

Prima c’era lavoro per tutti.

È vero? Il posto di lavoro? effettivamente a quei tempi, quando eri in età da lavoro, andavi dal sindacalista o dal prete e un posto te lo trovava. Oggi nei piccoli centri succede che dai il voto a un aspirante politico locale perché quello ti promette un lavoro e poi rimani fregato, perché ormai un posto non te lo può dare nessuno.

Il fatto è che se oggi abbiamo il debito che abbiamo, una spesa pubblica che non ci consente di fare investimenti e nemmeno di offrire servizi adeguati, lo dobbiamo proprio a quell’andazzo. Infatti in quegli anni non abbiamo creato ricchezza e produzione ma solo posti di lavoro virtuali, inutili. È il peso più grosso che oggi abbiamo sulle spalle.

Poi c’era l’impresa, è vero. Negli anni 60 e 70, c’erano tanti spazi vuoti da colmare, per chi aveva un minimo di spirito di intrapresa non era difficile mettere in piedi un’attività, servivano pochi mezzi, era facile trovare i luoghi, i soldi, era facile avviare, c’erano pochi oneri e gli stessi anche poco rispettati. Un piccolo imprenditore non era oberato dalle centinaia di adempimenti e balzelli odierni.

Quindi per chi ha in memoria tutto questo la percezione è quella, c’era più lavoro. Nella realtà no, la disoccupazione era al 10% negli anni 70, al 12% negli anni 80, per poi scendere fino al 6% fino all’arrivo della crisi del 2008 che la fece precipitare fino a tornare al livello massimo del 12% del 2014 per poi ricominciare a scendere. Quindi nella Prima Repubblica c’era più lavoro? NO!

 

ALLORA ARRIVAVAMO A FINE MESE

Tutti? direi di no. Come oggi del resto,  chi non arriva a fine mese sono una minima parte. Chi come me ha una certa età e soprattutto viene dal centro-sud, non può non ricordare che il barista se non il salumiere aveva sempre sul banco un quadernino, in ogni pagina c’era un cliente di cui  “segnava” la spesa quotidiana, che veniva poi pagata il 27, quando si prendeva lo stipendio, si pagavano i debiti e si rimaneva senza soldi per il resto del mese. Però ci si lamentava meno, semplicemente perché c’erano meno esigenze, l’automobile non l’avevano tutti, ma chi l’aveva la teneva almeno 20 anni. Le vacanze, si facevano in camere ammobiliate a due passi da casa o al massimo alla Pensioncina di Rimini, una settimana al massimo. Non era indispensabile andare ai tropici. Vacanze di Natale? a Pasqua? settimane bianche? ma quando mai.

Per non parlare di suppellettili, le continue ristrutturazioni dei bagni di casa (diventati negli anni 2000 quasi uno status symbol) i telefoni, i televisori al plasma, gli abbonamenti a sky, il rinnovo dei mobili, gli abiti all’ultima moda, e via dicendo. Niente di tutto questo era presente nella famiglia media Italiana del secolo scorso, ma oggi c’è, fa parte delle esigenze non più del superfluo.

 

ALLORA POTEVAMO FARE FIGLI

Qui ci riagganciamo alla polemica nata recentemente contro la Ministra Lorenzin e i suoi volantini. Polemica più che legittima, premetto. Però poi una domanda vogliamo farcela?

Come fanno gli extracomunitari nonostante il loro stato precario a sfornare figli come fossero brioches?

Intanto perché hanno più coraggio, i nostri giovani ne hanno sempre meno. Poi, è giusto dire, come faccio oggi con uno stipendio da operaio a mettere al mondo un figlio? non posso farcela.

Però guardate che un tempo non è che fosse possibile perché si guadagnava di più, anzi si guadagnava meno, solo che c’erano meno esigenze.

Oggi un figlio significa:

Avere una quantità ingente di quattrini da spendere per carrozzine, lettini e suppellettili, anche perché le vogliamo alla moda. Poi crescono e vogliono vestirsi come dicono loro e non puoi dirgli di no altrimenti si sentono minorati rispetto a tutti i compagnucci che sono firmati dalla testa ai piedi, compreso zainetto e diario. Poi hanno le feste, i compleanni, le pizze, le cene. Poi appena crescono ancora le vacanze con gli amici, le gite a Barcellona. Il motorino, poi la moto, poi l’automobile a 18 anni. Provate oggi ad avvicinarvi a una scuola media di un quartiere periferico, popolare, provate a contare quanti adolescenti non posseggono  l’iphone. Sì qualcuno si è accontentato di una Samsung, ma pochi.

Un tempo era più facile? certo io ricordo bene. I neonati, usavano il minimo e cercavano di recuperarlo dai parenti. Vestirsi? Sempre il minimo e se possibile trasmesso dai fratelli maggiori. Pizze, ristoranti? una volta al mese con i genitori, ma non tutti, chi poteva permetterselo. Vacanze? con i genitori, forse. Automobile? la bici per i più fortunati. I libri di testo? si compravano usati e si rivendevano quelli vecchi.

Sì, ma la casa?

Altro punto emblematico. Allora se ti sposavi, prendevi in affitto una casa, costavano poco perché c’era mercato. Non eravamo ancora entrati nell’ordine d’idea che tutti gli Italiani dovessero per forza avere una casa di proprietà. Fatto che ha fatto crollare il mercato degli affitti, lievitare a dismisura il costo degli immobili, chiudere un’epoca dell’edilizia pubblica e infine creare quella bolla finanziaria responsabile della crisi del 2008.

Tutto questo solo perché chi non è un bambino, possa avere dei ricordi veri, precisi, perché la percezione inganna.

Chiariamo una cosa, non sto dicendo che dobbiamo tornare alla miseria del secolo scorso, al massimo limitare qualche spreco sì, ma su questo la crisi ha avuto un ruolo benefico. No, la decrescita felice la lascio ad altri, io sto parlando di cose serie.  Io vorrei solo dimostrare che chi dice, stavamo meglio prima, dice una sonora bugia, ha la memoria corta.

A volte la percezione inganna perché è la visione del futuro ad essere diversa. Allora il futuro era roseo, sapevamo di stare meglio dei nostri genitori e che i nostri figli sarebbero stati meglio di noi.

Oggi il futuro è nero e forse ci vorrebbe anche un po’ meno pessimismo da parte nostra, ci aiuterebbe ad andare avanti, a fare progetti, ad avventurarci.

Adesso dai fatti di vita quotidiana della casalinga di Voghera, torniamo alla politica. Vorremmo tornare alla prima Repubblica?

Direi proprio di no, abbiamo già visto all’inizio il danno creato in quell’epoca e che stiamo ancora pagando e dovremo continuare a pagare a lungo.

Ma non è solo questo, il problema è che niente è più come prima, quelle ricette che nel dopo guerra in qualche modo determinarono lo sviluppo industriale del paese, oggi non sono più applicabili.

Oggi bisogna attenersi alle regole del mercato globale, è globale, l’industria, il mercato, la finanza.

Bisogna trovare il giusto equilibrio tra produzione e finanza, ovvero la produzione che si serve della finanza e non viceversa. Bisogna governare le banche, non piegarle a interessi politici ma sorvegliarle affinché i risparmi dei cittadini siano al sicuro e affinché diano sostegno all’impresa e alle iniziative soprattutto dei giovani.

Bisogna avere un rapporto equilibrato con la rete produttiva del paese, nessun assistenzialismo, nessuna protezione, non è consentita. Però bisogna fare attenzione a non opprimere le imprese, con eccessiva tassazione, con la burocrazia, con eccessivi e inutili adempimenti, con la malagiustizia. Perché ? perché altrimenti portano la produzione fuori. Oggi trasferire uno stabilimento in un altro paese è facile  come spostare una pedina a dama. I buoni rapporti invece servono a incentivare investimenti nel nostro paese, ovvero creare nuovi posti di lavoro.

Bisogna governare i flussi migratori, né buttarli a mare, né aprire tutte le porte. Semplicemente governare gli arrivi, accogliere decorosamente i profughi, integrare gli stranieri ormai residenti ma nello stesso tempo essere rigidi con chi sfida la sicurezza dei cittadini italiani.

Poi c’è il tema cultura, un argomento senza padri, senza patria, senza famiglia. La cultura in questo paese si è fatta da sola, si è autogestita, autonutrita, non ha mai avuto un indirizzo. Con la cultura non si mangia diceva un genio. Ecco, l’Italia del futuro deve essere quella per cui la cultura è necessaria anche quando ci costa, ma se siamo bravi con la cultura possiamo anche mangiarci.

Ecco, voi pensate che i rappresentanti che abbiamo visto sfilare nei media in questi giorni, quelli che vorrebbero farci tornare nel secolo scorso, voi pensate che possano essere in grado di gestire questo futuro che abbiamo davanti?

Badate, sono quelli che alle prime avvisaglie di novità alla fine 900 sono andati in crash, si sono agitati senza sapere dove mettere le mani ed hanno favorito l’occupazione dello stato a quanto di peggio era riposto nel fondo del nostro paese.

No, credo che l’Italia abbia veramente bisogno di cambiare, ma con il nuovo, non con i cambiamenti di chi critica il 900 ma è nostalgico delle teorie dell’800.

articolo originale su www.percorsi.social

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